Nel corso della carriera di un giornalista, specie con l’incedere del tempo, si susseguono incontri ed episodi particolarmente bizzarri. Raggiunta una certa “anzianità di servizio” (quella che taluni definiscono “esperienza”) non è raro trovarsi nelle condizioni di raccontare agli amici, magari davanti ad un caffè o comunque in momenti di pura cordialità, alcuni «fun facts».
Non esito ad inserire nel mio personale pantheon la sempre divertente e ricorrente circostanza del rapporto mai avviato con una persona il cui operato è decisamente meritevole di stima. Un dirigente sportivo di lungo corso che, pur conoscendomi da quando in pratica ero un bambino, è riuscito in quella che non esito a definire un’impresa: non aver mai collaborato con me pur avendo espresso sempre questo desiderio. È più forte di lui: in corrispondenza di un evento che ha deciso di organizzare o promuovere, una momentanea amnesia lo coglie e dimentica di contattarmi. Il copione è consolidato: la manifestazione di turno si rivela, come sempre e per sua stessa oggettiva ammissione, una merda su tutti i fronti relativamente a quello che ruota intorno alla comunicazione.
L’aspetto davvero comico della vicenda è – come qualcuno avrà forse immaginato in virtù della premessa – che ogni volta, in tutta spontaneità, il diretto interessato trova il modo di farsi sentire, blandendomi con la frase di rito: «Sei il migliore». Ok, grazie: ci credo sicuramente, guarda…
In quell’occasione si ripromette, con piglio deciso e risoluto, di chiamarmi per l’evento successivo. Cosa che, naturalmente, non accadrà… E giù risate con gli amici, perché un pizzico di autoironia non guasta mai e mi piace raccontare quanto simile al meme “Confused John Travolta” sia la mia reazione in situazioni del genere.
Ho raggiunto la convinzione che ogni professionista di livello abbia a che fare con almeno un “promesso committente”, eternamente interessato alla sinergia ma mai capace di concretizzarla. La classica persona che non esce da una comfort zone di assoluta mediocrità della quale è perfettamente conscio: ha sempre chiamato gente che sa benissimo essere inadatta ma, in fin dei conti, va bene così… A tutti.
Mi faccio serio per un’amara riflessione: escludendo dal discorso gli improvvisati, gli intrufoloni e gli “ammiocuggino” (e ce ne sono fin troppi), il vero guaio è che moltissimi stakeholders del territorio continuano a confondere la professione giornalistica con quella del comunicatore, favorendo inconsciamente personaggi che già è doveroso considerare alla stregua di miracolati per il fatto di essere ritenuti giornalisti, dato il modo in cui scrivono, ma che non hanno mai studiato e non si aggiornano e non si formano di certo oggi nelle varie competenze e nei diversi ambiti della comunicazione. Della serie: è già tanto che sappiano coniugare un congiuntivo eppure millantano di essere in grado di condurre eventi o fare social media management.
Soltanto una maggiore consapevolezza delle differenze, enormi, che passano tra le skills di cui necessita il giornalista e quelle che servono al comunicatore porterà chi spende i suoi soldi (o quelli altrui, o quelli pubblici) a fare attenzione e scegliere con cura a chi affidarsi.
Alla prossima? Mah…
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