Mi chiedo come sia possibile, senza cattiveria e con sincera curiosità, che quasi 278 mila utenti su X, oltre 195 mila su Facebook e 102 mila su Instagram seguano “Il foglio”.

Un giornale che in prima pagina, nell’edizione di martedì 14 gennaio, riporta in una specie di corsivetto la delusione di Andrea Marcenaro rispetto al fatto che Sigfrido Ranucci, anima della trasmissione televisiva “Report”, sia tornato vivo dallo scenario di Sumatra dove fu inviato per seguire gli effetti devastanti dello tsunami.

«Giorno dopo giorno, 250 mila morti. Ogni giorno a migliaia, per molto tempo. Era il 2005, per Ranucci purtroppo sembrava fatta. È riuscito a tornare»

Sul quotidiano con il quale collabora Cecilia Sala è stato pubblicato un articolo il cui autore quasi 78enne (nato nel 1947 a Genova) esprime il suo dispiacere per il mancato decesso di un giornalista.

La replica di Ranucci (che giustamente ha fatto gli scongiuri) e la lettera aperta diffusa da suo figlio, dai contenuti sacrosanti, costituiscono probabilmente gli atti conclusivi di una vicenda assurda.

Lo stile e il metodo di “Report” non mi sono mai piaciuti. Ho motivo di credere che il programma non sia equilibrato nel rapporto tra gli “scandali” che coinvolgono la destra (quasi sempre accentuati) e quelli che riguardano la sinistra (troppo spesso minimizzati se non addirittura silenziati). Tanto per fare un esempio, mi sarei aspettato un servizio, un cenno, una parola sull’inchiesta “Codice interno” che ha investito la politica barese. Il “casus belli”, naturalmente, è l’approfondimento svolto nell’ultima puntata sui presunti legami tra Silvio Berlusconi e la mafia. Ranucci, in tutta sincerità, è molto distante dalla mia idea di giornalismo ma da qui ad augurargli una brutta fine ce ne passa!

Sono sempre più sconfortato, quasi allibito dalla facilità e dalla disinvoltura con cui un linguaggio di odio fa breccia dove le parole andrebbero controllate, misurate, soppesate. E invece ci si rammarica perché un collega non è morto, lo si scrive e qualcuno acconsente alla pubblicazione!

Che il giornalismo abbia perso quasi tutta la sua residua credibilità è un’oggettiva e triste verità. Che “Il foglio” sia un quotidiano dalle posizioni discutibilissime praticamente su qualsiasi tema, anche. Che pochi lo leggano e ancora in meno lo comprino parrebbe confermato dai dati della diffusione. Io non sono certo un fan di Ranucci e nemmeno di Cerasa ma se potessi, chiederei al direttore de “Il foglio” soltanto una cosa: era proprio necessario far uscire un commento in prima pagina usando la stessa leggerezza di chi lascia partire un «Devi morire» allo stadio?
Lunga vita a Ranucci: gli auguro il meglio, proprio perché non mi piace e la penso diversamente da lui.